VI PREGO DI LEGGERE PER INTERO QUESTA INTERVISTA
Intervista con Barbara Rossi, psicologa, psicoterapeuta
Marco Deriu, Ricercatore e docente di Sociologia della cultura presso l’Università di
Parma, fa parte dell’Associazione nazionale Maschile Plurale e del Circolo della
differenza di Parma.
Dott. Deriu, cosa ne pensa della violenza tra i sessi?
In primo luogo credo sia fondamentale distinguere l’idea di violenza da
quella di conflitto. Ritengo che un conflitto tra i sessi ci sia sempre
stato e che in una certa misura sia ineludibile. Il conflitto attiene
al confronto tra differenti e di per sé non è negativo o distruttivo. Al
contrario il conflitto se accettato e affrontato con modalità non
violente può essere terreno di riconoscimento di sé e dell’altro, di
cambiamento e maturazione, di costruzione di legami più forti. Dunque
per chiarirci “violenza tra i sessi” non è sinonimo di “conflitto tra i
sessi”. A mio avviso la violenza tra i sessi è semmai la conseguenza del
rifiuto di un reale conflitto.Ovvero sia il tentativo di seppellire la
dimensione interrogante e dinamica del conflitto in una forma di dominio
unilaterale e statico.
La questione della violenza tra i sessi ha
radici profonde nella nostra storia e nella nostra cultura, per questo è
difficile parlarne senza sottovalutare il problema o renderlo una
faccenda superficiale. Penso sia sensato distinguere tra diverse forme
diviolenze. Esistono molti tipi di violenze: sessuali, fisiche,
psicologiche, materiali, simboliche e strutturali. Le violenze sono
commesse sia da uomini che da donne. Ma tutti i dati a nostra
disposizione sottolineano che gli autori delle violenze sono nella
maggioranza dei casi uomini. Alcune forme di violenza, in particolare e
mi riferisco alle violenze sessuali, alle molestie, alle violenze
fisiche sono storicamente violenze commesse dagli uomini ai danni delle
donne. Qui c’è evidentemente un dato culturale molto forte e profondo
che interroga la cultura maschile, i suoi modelli e i suoi valori.
Anche le donne ovviamente possono usare la violenza, anche nelle sue
forme tradizionali come botte, maltrattamenti o omicidi. Ma la violenza
femminile il più delle volte si esprime attraverso altre modalità, più
“relazionali”, più psicologiche e anche più sottili. In generale la
cultura in cui siamo immersi “suggerisce” forme di comportamento diverso
agli uomini e alle donne, anche di comportamento violento. Le violenze
in questo senso non sono solo espressioni di scelte e inclinazioni
individuali ma anche di modelli predefiniti di espressione e
comportamento.
Da questo punto di vista ci tengo a dire che non c’è
nessuna equivalenza possibile tra la violenza maschile verso le donne e
quella femminile contro gli uomini. Certo è interessante e anche
importante approfondire il tema della violenza femminile verso gli
uomini, come cerchiamo di fare in questa occasione, sia per illuminare
forme di violenza di cui si parla meno sia per chiarire meglio alcune
connessioni, ma è bene non scordare che la violenza maschile verso le
donne ha una dimensione culturale e strutturale molto forte e radicata.
Ancora oggi le donne sono soggette a violenze, soprusi, discriminazioni a
livello sessuale, economico, politico, nella famiglia, nel lavoro,
nello spazio pubblico.
I n che senso possiamo parlare della violenza agli uomini?
Da un punto di vista generale le donne possono esprimere forme di violenza differenti.
Ma come dicevo prima, le forme di comportamento violento sono soggette a
loro volta ad una standardizzazione culturale, a seconda dei diversi
generi. Credo che nella maggior parte dei casi le violenze contro gli
uomini avvengano su un piano relazionale e psicologico più che fisico o
materiale. Il terreno in cui possono avvenire più facilmente è quello
dei rapporti tra madre e figli o dei rapporti di coppia. Nel primo caso
possono essere forme di violenza legate ad un atteggiamento soffocante
in cui la madre impone la propria centralità o il proprio volere sul
figlio minando la sua autonomia, la sua autostima, la sua integrità.
Nel rapporto di coppia la violenza può essere legata ad un tentativo di
svalutare o di umiliare il proprio compagno per tenerlo in qualche modo
sotto controllo o in una posizione di scacco. Nel contesto famigliare
le forme della violenza sugli uomini possono passare anche attraverso
delle dinamiche triangolari, per esempio quando si cerca di instaurare
nei figli un’immagine molto negativa dei padri, quando si cerca di
utilizzarli contro i padri, o quando in caso di conflitti o separazioni
si cerca di minare il legame affettivo tra padre e figli rendendo
difficile o addirittura impossibile ai padri di vedere o frequentare i
bambini.
Data la centralità e l’importanza delle donne nella vita
affettiva e psicologica degli uomini, spesso la violenza può assumere le
forme del ricatto affettivo, sia nel rapporto tra madre e figli che nel
rapporto tra partner. In altri casi si cerca di instaurare un senso di
colpa radicale e incolmabile o di proiettare tutta dell’”ombra” e del
negativo, sulla figura maschile. Va detto invece che esistono forme di
crudeltà e di sadismo anche femminili anche se sono meno invisibili. Ci
sono donne che infieriscono sugli uomini con grande freddezza e anche
donne capaci di inscenare storie, situazioni o racconti agghiaccianti
pur di suscitare grandi sensi di colpa o di distruggere l’immagine di
una persona verso cui si prova un sentimento negativo. Andrebbero
indagate anche quelle forme di violenza che agiscono dietro o comunque
mescolate insieme a forme di dolore femminile. Spesso la violenza o il
dolore non si dividono in due campi contrapposti in maniera netta. Una
donna che soffre, e addirittura che si ammala per il proprio malessere –
penso a situazioni patologie tipicamente femminili come quelle
dell’isteria o dell’anoressia – può anche agire contemporaneamente
attacchi molto violenti. Chi soffre non è obbligatoriamente soltanto una
vittima. Per certi aspetti può essere una vittima, perchè ha subito dei
torti o delle violenze, ma per altri può essere un aguzzino. Bisogna
riconoscere e comprendere questa complessità negli esseri umani.
Se
devo rischiare una generalizzazione, consapevole di tutti i rischi del
caso, penso che nel caso delle donne ci troviamo spesso di fronte a
forme di violenza più sottili, indirette o nascoste; forme meno brutali e
anche meno evidenti rispetto a quelle maschili. Tuttavia queste
modalità possono essere estremamente potenti, profonde e anche
devastanti o distruttive soprattutto se praticate sistematicamente. Per
loro natura questo tipo di violenza “non fa notizia”, non arriva ai
giornali. Esempi di queste forme si possono invece ritrovare facilmente
nell’immaginario collettivo, letterario o cinematografico.
Naturalmente ci sono anche donne che commettono atti di violenza più
tradizionali, violenza fisiche, botte, omicidi ma percentualmente questo
avviene in misura molto minore rispetto agli uomini. Basta pensare alla
grande asimmetria nella popolazione carceraria composta, non solo nel
nostro paese ma in tutto il mondo, nella stragrande maggioranza da
uomini.
Infine dobbiamo aggiungere a questo elenco il ruolo che le
donne stanno assumendo nelle guerre contemporanee: non più solo vittime,
come verrebbe lo stereotipo, ma anche soldatesse, attentatrici
terroriste, istigatrici del genocidio come è avvenuto in Rwanda, o
torturatrici nel carcere di Abu Ghraib, dove la soldatessa americana
Lynndie England si divertiva a farsi fotografare mentre teneva un
soldato iracheno, un maschio, al guinzaglio. Si tratta di episodi che
hanno avuto un forte impatto sul nostro immaginario, contribuendo a
minare l’immagine di una donna o di un femminile tutto luminoso,
incapace di violenza o rinchiudibile nell’immagine stereotipata della
vittima.
Qualcuno ha commentato che forse i sessi da civilizzare sono due.
I n che modo gli uomini subiscono questa violenza?
Si tratta credo di una forma di violenza che si insinua nelle relazioni
quotidiane. Che agisce nei legami più stretti e che si mescola con
situazioni affettive e con vincoli profondi. Gli uomini talvolta la
subiscono perché fanno fatica a riconoscerne il disegno e a capirne le
modalità e la logica. Bisogna avere profondi strumenti psicologici e
relazionali per riconoscerla in azione e per bloccarla, o quando non è
possibile, per sottrarvisi.
Gli uomini denunciano? Come reagiscono rispetto alle donne?
Proprio perché si mescola alle relazioni affettive spesso questa
violenza non è riconosciuta in quanto tale dunque spesso non viene
denunciata. In altri casi gli uomini non denunciano perché si
vergognano. Per un uomo apparire pubblicamente sottomesso alla donna può
essere ancora più intollerabile che esserlo poi effettivamente.
Altre forme di violenza sono invece un terreno di conflitto molto forte.
Penso alla violazione dei diritti dei padri e dei figli in casi di
separazione. Si tratta di una delle situazioni in cui le violenze si
ripetono più spesso. E negli ultimi decenni gli uomini hanno iniziato a
denunciare questi casi e anche a organizzarsi per difendere i propri
diritti.
Pensiamo ad una situazione come la separazione coniugale.
Spesso si parla delle ritorsioni che fa l’uomo nell’usare sotterfugi e
non pagare alimenti alla ex moglie per i figli; oggi si assiste
maggiormente anche alla segnalazione degli uomini che vengono “
derubati” dei figli e non si sentono tutelati dalla legge. Cosa potrebbe
fare un padre per tutelare la sua paternità, il diritto del bambino ad
un padre, la loro relazione?
Si, quello che descrive è uno degli
ambiti delle relazioni tra i sessi in cui si esplica più facilmente una
violenza contro gli uomini. Questo non vuol dire che le stesse
situazioni non siano terreno anche di violenza contro le donne. Sappiamo
bene che i casi di violenza contro ex compagne o ex mogli sono molto
diffusi e occupano le pagine della cronaca nera. Allo stesso tempo,
tuttavia, questo è uno dei pochi ambiti in cui una visione
tradizionalista e stereotipata dei ruoli sessuali consegna generalmente
una posizione di vantaggio alle madri e consente loro di approfittarne
anche oltre il lecito e soprattutto oltre ogni senso di civiltà. I casi
di soprusi e violenze verso i padri sono più diffusi di quello che
culturalmente siamo disposti a riconoscere.
Ritiene che questo tipo di violenza abbia conseguenze a livello sociale?
Ovviamente si. Credo che il rischio più grande sia quello di
generalizzare o di proiettare il vissuto di violenza sull’immagine
generale dell’altro sesso, delle donne o degli uomini. Se come ho
cercato di spiegare la violenza nasce dal disconoscimento della
differenza certamente non è un passo avanti proiettare su un intero
sesso la colpa del male e del dolore che si è patito.
Da un punto di
vista psicologico e soprattutto esistenziale costa molto lavoro non
generalizzare, non proiettare concentrarsi sulla propria storia
personale, sulla propria vicenda e rielaborarla in quanto tale,
riconoscendo responsabilità specifiche, individuali e relazionali, senza
con questo distruggere l’immagine interiore dell’altro sesso dentro di
sé.
A questo proposito dobbiamo impegnarci tutti nella promozione di
una cultura delle differenze. Dobbiamo aiutarci – uomini e donne a
reinventare una civiltà delle relazioni basata sul riconoscimento della
propria parzialità e sull’accettazionedell’alterità. Dobbiamo imparare a
costruire relazioni basate sulla libertà, con la fiducia che le
differenze siano un’occasione e non una minaccia.
I n che modo
genitori, educatori, insegnanti, psicologi, potrebbero aiutare le nuove
generazioni a ridurre la violenza per incontrarsi in modo più sereno? È
pensabile che si possa ridurre la violenza?
Il terreno educativo è
fondamentale soprattutto se si comincia a lavorare con i bambini
educandoli fin dalla più tenera età ad un rapporto positivo e
riconoscente verso entrambi i sessi.
Ma non si può neanche
proiettare tutto sulle future generazioni. In questo campo delle
relazioni tra i sessi occorre un’educazione anche degli adulti, forse
soprattutto degli adulti, perché sono quelli che devono più liberarsi da
stereotipi e armature culturali. È un lavoro culturale che non si fa
solo nelle scuole, ma in tutti gli spazi relazionali e sociali: dalla
famiglia al lavoro, dall’amicizia alla sessualità, dalla politica allo
sport.
È una sfida in cui tutti – nessuno escluso – dobbiamo
sentirci al contempo insegnanti ed allievi, con umiltà ma anche senso
civile. Dobbiamo costruire una nuova civiltà delle relazioni tra i
sessi. —
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