sabato 21 novembre 2015

Noemi - La Costruzione di un Amore

La costruzione di un amore
spezza le vene delle mani
mescola il sangue col sudore
se te ne rimane

La costruzione di un amore
non ripaga del dolore
è come un'altare di sabbia
in riva al mare

La costruzione del mio amore
mi piace guardarla salire
come un grattacielo di cento piani
o come un girasole

Ed io ci metto l'esperienza
come su un albero di Natale
come un regalo ad una sposa
un qualcosa che sta lí
e che non fa male

Ad ogni piano c'è un sorriso
per ogni inverno da passare
ad ogni piano un Paradiso
da consumare

E dietro una porta un pò d'amore
per quando non ci sarà tempo di fare l'amore
per quando farai portare via
la mia sola fotografia

E intanto guardo questo amore
che si fa piú vicino al cielo
come se dietro all'orizzonte
ci fosse ancora cielo

Son io, sono qui
e mi meraviglia
io qui stretta fra le mie braccia
ma no, son proprio io
lo specchio ha la mia faccia

Son io che guardo questo amore
che si fa più vicino al cielo
come se dopo tanto amore
bastasse ancora il cielo

E tutto ció mi meraviglia
tanto che se finisse adesso
lo so io chiederei
che mi crollasse addosso

E la fortuna di un amore
come lo so che può cambiare
dopo si dice l'ho fatto per fare
ma era per non morire

Si dice che bello tornare alla vita
che mi era sembrata finita
che bello tornare a vedere
e quel che è peggio è che è tutto vero
perché

La costruzione di un amore
spezza le vene delle mani
mescola il sangue col sudore
se te ne rimane

La costruzione di un amore
non ripaga del dolore
è come un'altare di sabbia
in riva al mare

Ma intanto guardo questo amore
che si fa piú vicino al cielo
come se dietro all'orizzonte
ci fosse ancora cielo

Son io sono qui
e mi meraviglia
io qui stretta fra le mie braccia
ma no, son proprio io
lo specchio ha la mia faccia

Sono io che guardo questo amore
che si fa grande come il cielo
come se dopo tanto amore
bastasse ancora cielo

E tutto ció mi meraviglia
tanto che se finisse adesso
lo so io chiederei
che mi crollasse addosso



E tutto ció mi meraviglia
tanto che se finisse adesso
lo so io chiederei
che mi crollasse addosso

Eh sì.

sabato 7 novembre 2015

Nel 2012 pubblicai "La fine del Regno" a conclusione della ricerca sui Normanni in Sicilia. Il saggio non solo affrontava le cause del declino del regno fondato da Ruggero II ma, anche, le conseguenze, alcune delle quali ancora oggi presenti, che quel declino ha avuto sulle sorti dell'isola.

venerdì 16 ottobre 2015


"Vorrei che tu venissi da me in una sera d’inverno e, stretti insieme dietro i vetri, guardando la solitudine delle strade buie e gelate, ricordassimo gli inverni delle favole, dove si visse insieme senza saperlo..."
Dino Buzzati

sabato 3 ottobre 2015

lunedì 21 settembre 2015

La sensibilità è una forma d’intelligenza, è inutile cercare di spiegarla a chi ne è privo...

martedì 25 agosto 2015

domenica 26 luglio 2015

Oggi al tg5 hanno mandato un servizio sulla grande polemica che sta creando il caso della ragazza che ha accusato un gruppo di 6 (l'avvocato della difesa dice 7) ragazzi per stupro. Loro sono stati GIUSTAMENTE assolti,visto le molteplici incongruenze del caso (http://www.vanityfair.it/…/risposta-avvocato-ragazzi-letter…) Il tg5 comunque ha scelto di concludere il servizio tornando al problema della violenza sulle donne e ricordando agli uomini che chi usa violenza non è un uomo,adesso visto il fatto, credo sarebbe stato più corretto porre in evidenza anche il problema delle false accuse, il problema di ritrovarsi colpevoli anche se completamente assolti. Il danno che si arreca alle vittime della falsa accusa e alle vere vittime di violenza. Questo credo sarebbe dovuto essere il tema del servizio. (Glenda Mancini)

«Sta infangando la vita di 6 innocenti»

 La risposta dell'avvocato di uno dei sei giovani accusati di stupro e poi assolti, dopo il post amareggiato della ragazza che nel 2008 li denunciò di violenza sessuale

| di Redazione News
Qualche ora dopo la pubblicazione dell'articolo «Se fossi morta sarei più credibile?», il post amareggiato della ragazza che denunciò sei coetanei di averla violentata nel 2008 alla Fortezza del Basso e appena assolti dalla Corte d'Appello di Firenze, abbiamo ricevuto un'email da Salvatore Santagata, avvocato di L.P, uno dei sei.

La lettera della giovane che oggi ha 29 anni era un commento sulla sentenza che ritiene ingiusta: «A sette anni di distanza ho ancora attacchi di panico, ho flashback e incubi e lotto giornalmente contro la depressione e la disistima di me». Come abbiamo dato spazio alle sue parole, crediamo sia giusto darne altrettanto alla controparte.

Qui riportiamo l'email ricevuta: «In qualità di difensore di L.P., uno dei ragazzi accusato falsamente di aver commesso il più odioso dei delitti tra quelli contemplati dal codice penale, ritengo necessario ristabilire quella verità che per sette anni è stata distorta infangando la vita di sei (in realtà sette, vedremo poi perché) ragazzi e delle loro famiglie.

La sentenza della Corte d’Appello di Firenze ha riconosciuto l’innocenza degli imputati semplicemente perché è stato dimostrato, oltre ogni ragionevole dubbio, che non vi fu alcuna violenza sessuale di gruppo e che la ragazza non era e non è assolutamente attendibile, perché non si può riconoscere la patente di attendibilità a chi ha calunniato un povero innocente (il settimo ragazzo) ed ha mentito per ben 29 (ventinove!) volte.

In questa triste vicenda, infatti, nessuno ha ricordato che durante tutto il processo di primo grado i ragazzi accusati dalla sedicente vittima erano sette e non sei.

Per fortuna, però, il Tribunale di Firenze – nonostante la ragazza abbia riferito più volte, sotto giuramento, di avere impresso il ricordo di questo settimo ragazzo, con il cappello e la camicia nera, nell’abitacolo della macchina nel momento in cui cominciarono le presunte violenze di maggiore gravità – ha escluso la sua presenza per una serie numerosissima di circostanze oggettive, tutte puntualmente riscontrate, che lo collocavano altrove rispetto al luogo della presunta violenza.

A tale proposito è bene sottolineare che la sedicente vittima non ha impugnato la sentenza di assoluzione pronunciata in favore di questo settimo ragazzo.

Alla calunnia di cui abbiamo appena detto, si aggiungono le 29 falsità di cui riportiamo, in via di estrema sintesi, soltanto le più rilevanti:
1.Il Tribunale di Firenze (nella sentenza di primo grado, confermata sul punto da quella di appello) ha affermato che gli esami medici compiuti escludono la violenza sessuale descritta dalla ragazza stante la TOTALE CARENZA DI TRACCE DI ESSA, pacificamente incompatibile con un episodio di stupro di gruppo.


2.Sempre per il Tribunale di Firenze (nella sentenza di primo grado, confermata sul punto da quella di appello), la ragazza mente anche sul luogo della presunta violenza poiché dagli accertamenti tecnici esperiti “Non è revocabile in dubbio che a quell'ora gli imputati,(…), fossero nella zona dove tutti sostengono (…). L'incontrovertibile ricostruzione non può che essere messa in relazione con la testimonianza sul punto della persona offesa, pregiudicandone fortemente l'attendibilità, anche con riguardo alle risposte, in controesame a specifiche domande, di espressa esclusione da parte sua che la fase più grave dell'accaduto avesse avuto luogo presso lo "Strizzi garden" (…).


3.La Consulenza Tecnica tossicologica depositata in sede di appello ha escluso, nonostante i ripetuti racconti della sedicente vittima, che la ragazza fosse ubriaca all’uscita dalla Fortezza da Basso. Infatti, è stato accertato che a quell’ora la concentrazione ematica di alcol della sedicente vittima era inferiore a 0,8 g/l ed era in fase di costante diminuzione.


In buona sostanza, non vi è una sola parte del racconto narrato dalla sedicente vittima che abbia trovato conferma nella realtà dei fatti; ecco perché la Corte d’Appello di Firenze ha assolto i sei imputati, non perché abbia espresso un giudizio di disvalore nei confronti della condotta di vita della ragazza che mai è stata stigmatizzata, ma semplicemente perché innocenti. Fino ad oggi avevamo deciso di non rispondere ai numerosi articoli di stampa né alle provocazioni dei tanti che, senza conoscere neppure una pagina delle migliaia che compongono l’istruttoria di questo processo, si sono permessi di esprimere giudizi gravemente lesivi della dignità e della reputazione dei Giudici della Corte d’Appello di Firenze nonché delle sei vittime di questo processo; dopo oggi, rivendichiamo la verità storica e processuale degli accadimenti e preannunciamo che agiremo nei confronti di chiunque tenti di distorcene il contenuto».

Ci sono 8 commenti


  1. Riccardo G.
    Riccardo G., 22 Jul 2015 19:18:25
    È terribile la campagna di odio contro uomini innocenti lanciata dalla femminista che si nasconde dietro al blog "abbatto i muri" http://it.avoiceformen.com/falseaccuse/falso-stupro-alla-fortezza-da-basso/
  2. Giancarlo C.
    Giancarlo C., 22 Jul 2015 17:29:33
    Ma quali vittime


    Libero P.

    Libero P., @Giancarlo C. | 22 Jul 2015 18:05:27
    Quali vittime?? Sono stati assolti ogni oltre ragionevole dubbio. Fosse per voi, i tribunali non esiterebbero. Assolti perchè le versioni dei fatti della sedicente vittima sono state smentite nel dibattito processuale. Siete peggio della folle isteriche che durante il Terrore invocava la ghigliottina contro tutti e chiunque. E se accusassero a te per uno stupro mai commesso? Ti piacerebbe essere condannato.
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...Passerà, questo luglio infuocato senza sole...
..Passerà, questo gelido freddo nel cuore!

giovedì 4 giugno 2015

sabato 25 aprile 2015


Il sogno di una vera liberazione
dopo cent’anni di genocidi

Il sogno di una vera liberazione <br /> dopo cent’anni di genocidi
La recente rievocazione del genocidio del popolo armeno apre una lunga serie di tragiche ricorrenze che rinnoveranno nei prossimi anni il ricordo di un secolo che,estesosi ormai oltre le soglie del precedente, sarà ricordato per sempre con rassegnata vergogna e con costante inquietudine.
Il termine fu coniato da Raphael Lemkin, giurista polacco,  proprio di origine armena. Il neologismo volle dare un nome autonomo a uno dei peggiori crimini che l’uomo possa commettere. Comportando la morte di migliaia, a volte milioni, di persone, e la perdita di patrimoni culturali immensi, il genocidio è definito dalla giurisprudenza un crimine contro l’Umanità
In quel lontano 1915 i Giovani Turchi, tardi epigoni di un impero ottomano ormai al tramonto, si resero responsabili per la prima volta nella storia moderna dell’Umanità di una nuova modalità di sterminio condotta con una pianificazione dettagliata e un dichiarato obiettivo finale da raggiungere: la scomparsa di un intero popolo mediante la soppressione fisica di uomini e di donne, di anziani e di bambini e persino di non ancora nati.
Un primato raccapricciante inaugurava il ‘900 dell’orrore che avrebbe visto non solo due immensi conflitti mondiali e l’esordio dell’era atomica ma anche l’affermarsi del convincimento che potesse esistere un nemico collettivo da cancellare per sempre dalla faccia della terra.
Le immagini di antichi o recenti genocidi ricordano la definizione dell’accademico francese Gérard Prunier, secondo il quale mentre la pulizia etnica è lo sterminio di massa di una parte della popolazione per allontanare i sopravvissuti ed occupare il territorio, nel genocidio “vero” non esistono vie di fuga: anche i gruppi religiosi e politici non possono salvarsi attraverso la conversione o la sottomissione.
L’intenzione genocida, il desiderio di distruggere la popolazione vittima in quanto tale (spesso assieme alla sua memoria culturale) non è solo quello di assicurarsi il controllo di territori o risorse economiche eliminando gli oppositori reali o potenziali. Nel genocidio, il massacro è un fine e non un mezzo. È facile constatare tale intenzione se è esplicita e sistematica e accompagnata da prove documentarie prodotte dall’aggressore, mentre è difficile se è implicita e tendenziale.
La maggior parte degli eccidi del nostro tempo può essere considerata come appartenente alle categorie dell’esplicito e del sistematico.
La spaventosa cronologia dell’orrore può essere così riassunta:
Armenia 1915. Il genocidio ebbe carattere nazionale e religioso (armeni – ottomani) e ebbe come obiettivo l’eradicazione territoriale totale realizzata mediante deportazioni,carestie, malattie ed esecuzioni. Fece un milione quattrocentomila morti pari a circa il 70% della popolazione. Ancora oggi la Turchia ne nega l’intento genocidiario.
Holomodor 1932 -33 si inserì nei processi di sovietizzazione e provocò circa sette milioni di morti tra la popolazione ucraina rea di non voler rinunziare alla propria identità. Fu perpetrata attraverso una carestia pianificata, tra l’indifferenza della comunità internazionale
La Shoa, il genocidio più conosciuto e studiato anche a motivo della cornice bellica in cui ebbe luogo, si svolse dal 1941 al 1945 ed ebbe come scopo la soluzione finale del popolo ebraico (e di altre minoranze etniche) in un quadro di deliranti politiche eugenetiche. Fece oltre cinque milioni di vittime e rappresentò il massimo esempio di pianificazione operativa e amministrativa coinvolgendo l’intera popolazione tedesca che fu sostanzialmente passiva, quando non direttamente e consapevolmente impiegata nell’organizzazione dello sterminio.
In Cambogia dal 1975 al 1979 i Khmer rossi soppressero un milione e ottocentomila persone appartenenti in gran parte al ceto medio ed intellettuale, nell’intento di creare “un nuovo popolo” e di cancellare ogni influenza occidentale. Insieme ai quelli vietnamiti che fuggivano dal sud riconquistato da Hanoi, i profughi furono i primi boat people, si registrarono i primi respingimenti da parte di paesi quali l’Australia e le Filippine e diverse migliaia annegarono o furono divorati dagli squali. La Marina Militare italiana si distinse portando in salvo un migliaio di persone.
In Ruanda nel 1994 si consumò il genocidio degli Tutsi ad opera dell’entia degli Utu (minoranza etnica al potere) che pur sconvolgendo l’opinione pubblica internazionale anche per il prevalente uso di armi bianche sulle vittime, vide spettatori inerti anche le truppe ONU, inviate nel paese con regole d’ingaggio incerte ed ambigue. Con circa un milione di vittime venne estinto circa l’80% dei Tutsi.
Dal 1992 al 1995 ebbe luogo la tragedia bosniaca quale epilogo della dissoluzione della Iugoslavia. L’intento dichiarato da parte dei serbi di “ripulire” il paese dai mussulmani portò alla morte oltre centomila persone e vide l’impiego consapevole e pianificato dell’abominevole tecnica dello stupro etnico. Per quanto tardivo l’intervento bellico europeo e statunitense, cui prese parte anche l’Italia, riuscì a porre fine alle stragi e alla dittatura di Slobodan Milosevic che sarà poi giudicato dalla Corte Internazionale dell’Aja, senza tuttavia che si giungesse alla condanna, a seguito della morte dell’imputato sopravvenuta nel 2006.
Altrettanta rilevanza ebbero i frequenti interventi con intento genocidiario promossi da Saddam Hussein nei confronti dei curdi mediante l’impiego di armi chimiche, dal 1973 e sino alla vigilia della caduta del regime Baathista nel 2003.
Insieme ai fenomeni che è stato possibile definire in un determinato periodo temporale, vanno annoverati quei genocidi “lenti” che si protraggono ancora oggi e vedono principalmente coinvolti il popolo palestinese, le minoranze cristiane in Asia e nel centro dell’Africa ad opera di governi sovrani o di fazioni fondamentaliste spesso contrapposte.
Con la saldatura di molte di queste fazioni nel Califfato Islamico(ISIS o DAISH) guidato da Abu Bakr al-Baghdadi che ha raccolto l’eredità politica di Osama Bin Laden e con il riaccendersi dopo il 2011 della rivolta mussulmana in Siria, Iraq, Tunisia e Libia il fantasma del genocidio è tornato ad agitare il mondo per due principali ragioni. La prima riguarda l’interpretazione militare del Jihād coranico finalizzata alla distruzione del mondo degli “infedeli” dichiarato come inconciliabile con l’Islam; la seconda ragione ha a che vedere con le persecuzioni civili e religiose che stanno spingendo milioni di persone ad un esodo biblico verso l’Europa, mediante l’utilizzo di ogni mezzo di trasporto, a partire da quello affidato ai tragici barconi che cercano in ogni modo di superare il Canale di Sicilia.
Ancora una volta l’Occidente sembra in larga parte rifugiarsi nell’indifferenza come in passato si chiuse nell’ignavia e nel successivo tentativo di negazionismo, allontanando da sé il problema e lasciandolo sulle spalle dei paesi rivieraschi in cui approdano i profughi il peso dell’accoglienza come previsto dal Trattato di Dublino; la più recente modifica apportata nel 2008, non prevede infatti quando sarebbe accaduto nel Mediterraneo nel volgere di pochi anni e si basa ancora sulla previsione di un limitato numero di aventi diritto allo status di profugo, così come lo stesso è definito da trattati internazionali ormai datati.
Il dibattito in corso in queste ore si scontra con l’esito parziale e insoddisfacente del Consiglio Europeo del 23 aprile dove si è stabilito che “saranno compiute azioni per individuare e distruggere le imbarcazioni dei trafficanti prima che siano usate. Queste azioni saranno in linea con il diritto internazionale e il rispetto dei diritti umani. Si porterà avanti una cooperazione contro le reti dei trafficanti attraverso l’Europol e schierando funzionari per l’immigrazione in paesi terzi. Saranno triplicati i finanziamenti alla missione di sorveglianza e salvataggio Triton. Il mandato di Triton non sarà modificato e continuerà a rispondere alle chiamate di soccorso dove necessario. Sarà limitato il flusso dell’immigrazione irregolare e si eviterà che le persone mettano a rischio le loro vite attraverso la collaborazione con i paesi di origine e di transito, soprattutto i paesi attorno alla Libia.
Sarà rafforzata la protezione dei rifugiati. L’Unione europea aiuterà i paesi di arrivo dei migranti e organizzerà la ricollocazione dei migranti negli altri paesi membri su base volontaria. Chi non otterrà lo status di rifugiato sarà rimpatriato.”
Se non suonasse macabra in tale circostanza, si potrebbe utilizzare l’espressione “una goccia nel mare” per definire ancora una volta l’indifferenza dell’Europa (non solo degli stati ma soprattutto dei popoli) e la sottovalutazione di un fenomeno epocale che scuoterà nei prossimi anni le fondamenta stesse di un Vecchio Continente il quale sembra non avere ancora imparato nulla dalla storia e si appresta a diventare responsabile di un ennesimo genocidio dalla proporzioni gigantesche che si consuma nella tomba liquida del Mediterraneo. Né può essere in alcun modo esimente la preoccupazione elettoralistica, com’ è risultato in modo evidente dalla dichiarazioni del premier britannico Cameron, dell’eventuale avanzata dei soggetti politici della destra europea, in presenza di politiche di accoglienza ed integrazione omogenee in tutta l‘Unione.
Nel giorno in cui celebriamo la Liberazione dal Nazifascismo, sarebbe opportuno riflettere se stiamo ancora una volta comportandoci come coloro che nei tanti eccidi del nostro tempo si sono voltati dall’altra parte imponendosi di non voler sapere cosa stesse accadendo, salvo poi celebrare ipocritamente le vittime innocenti innalzando monumenti di ossa umane. E sarebbe utile ricordare il sacrificio di milioni di soldati alleati provenienti da tutto il mondo che sono sepolti nei grandi cimiteri di guerra spesso vicini a quelle spiagge in cui sbarcarono e morirono perché il mondo diventasse migliore e la speranza della “felicità” – come ha ricordato Papa Francesco pochi giorni fa – diventasse per tutti gli abitanti del pianeta il primo inalienabile diritto.
Se anche stavolta – e potrebbe essere l’ultima – ci chiuderemo nelle fortezze vacillanti della nostra “normalità” suoneranno implacabili le parole di Hanna Arendt a conclusione del processo che condannò l’ex contabile della morte Adolfo Eichmann a Gerusalemme il 31 maggio del 1962 : “Il guaio del caso Eichmann era che uomini come lui ce n’erano tanti e che questi tanti non erano né perversi né sadici, bensì erano, e sono tuttora, terribilmente normali”, (La banalità del male – Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli, 2003).
di

giovedì 23 aprile 2015

Il concetto di “violenza di genere” viene troppo spesso tradotto erroneamente dai mass media come “violenza esclusiva dell’uomo sulla donna”, come se l’uomo fosse destinato a ricoprire sempre e solo il ruolo di carnefice e la donna quello di vittima. Invece è possibile affermare che esiste anche una violenza della donna sull’uomo che si manifesta con caratteristiche e tipologie considerate tipicamente maschili. Nella società in cui viviamo appare impensabile che l’uomo possa essere vittima di violenza da parte di una donna, tanto che non solo non viene denunciata, ma il più delle volte gli stessi uomini faticano a riconoscersi nel ruolo di vittima. Ci sono voluti anni di appoggio e supporto per incoraggiare le donne a denunciare la violenza domestica invece per incoraggiare gli uomini non è stato fatto nulla. È opportuno investire in ricerche senza schematismi, essere coscienti dei mutamenti della società, dei ruoli che si uniscono e si ridefiniscono

sabato 18 aprile 2015

Scarcerato in Spagna il padre fuggito con il figlioletto neonato di appena 15 giorni
Processato per direttissima, i giudici hanno ritenuto che non ci siano elementi per la detenzione

COMUNICATO STAMPA. ASS. FIGLI NEGATI

IN ITALIA, RAPIRE UN FIGLIO NON E' REATO SOLO QUANDO IL RAPITORE E' UNA MAMMA.

E' sorprendente, anche stavolta, apprendere che rapire un figlio in Italia è un reato grave che impegna le forze dell'ordine di più Nazioni.
Come sempre, quando scende in campo la Polizia internazionale, il rapitore è un padre.
In Italia, nell'indifferenza di tutte le Istituzioni e le forze dell'ordine, migliaia di figli vivono senza il padre e i nonni paterni perchè la mamma ha deciso di eliminare fisicamente i familiari più stretti.
Da 10 anni chiedo allo Stato Italiano di fornire la statistica annuale delle denunce presentate dai padri separati italiani in base all'art. 388 del codice penale. Chi non rispetta in mala fede una sentenza del giudice commette un reato penale.
..................................................................................
Dispositivo dell'art. 388 Codice Penale
Fonti → Codice Penale → LIBRO SECONDO - Dei delitti in particolare→ Titolo III - Dei delitti contro l'amministrazione della giustizia (artt. 361-401) → Capo II - Dei delitti contro l'autorità delle decisioni giudiziarie
(1) Chiunque, per sottrarsi all'adempimento degliobblighi civili nascenti da una sentenza di condanna, o dei quali è in corso l'accertamento dinanzi l'Autorità giudiziaria (2), compie, sui propri o sugli altrui beni, atti simulati o fraudolenti, o commette allo stesso scopo altri fatti fraudolenti, è punito, qualora non ottemperi alla ingiunzione di eseguire la sentenza (3), con la reclusione fino a tre anni o con la multa da centotre euro a milletrentadue euro.
La stessa pena si applica a chi elude l'esecuzione di un provvedimento del giudice civile, che concerna l'affidamento di minori o di altre persone incapaci, ovvero prescriva misure cautelari a difesa della proprietà, del possesso o del credito.

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Ci sono padri separati e nonni che vivono sulla loro pelle la tragedia quotidiana della mancanza dei figli e dei nipoti.
Tutte le denunce vengono archiviate e non c'è mai la condanna della madre rapitrice.
All'estero il rapimento di un figlio è un reato gravissimo che porta all'arresto del genitore rapitore.
Da noi solo l'archiviazione.
Il caso più clamoroso in Italia è avvenuto al padre Salvatore Gallo che ha presentato più di 130 denunce ( art.388 c.p.) in 9 anni per rivedere 3 figlie "sottratte" dalla ex moglie. Alla fine l'ex moglie è stata condannata a circa 600 euro.
Rapire un figlio per nove anni ha il "costo di 200 euro" meno della multa dell'autovelox.
Quello che in Italia non si è ancora capito è che il rapimento di un figlio è la causa di molti omicidi e suicidi familiari.
Dato che non esiste una vera statistica ufficiale queste nostre valutazioni sul territorio non hanno mai il giusto peso per prevenire e curare questo cancro che conserva solo l'Italia.
L'impunità del rapitore di un figlio è la violazione più grave che commette uno Stato quando non difende il diritto inviolabile di ogni bambino di amare due genitori e quattro nonni.
Noi protestiamo e manifestiamo da 20 anni ma la vera voce di questa Nazione siete voi che potete pubblicare o censurare questa protesta pubblica di tutti i papà separati e dei nonni massacrati dalla mancanza dei figli e nipoti.

dott. Giorgio Ceccarelli

martedì 31 marzo 2015


Gli attimi più belli che il giorno ci ha regalato, divengano attimi di eterno, fotografie indelebili che il cuore conserva e sfoglia nei momenti di malinconia.

venerdì 27 marzo 2015

Albert Einstein: “Temo il giorno in cui la tecnologia andrà oltre la nostra umanità: il mondo sarà popolato allora da una generazione di idioti”

giovedì 26 marzo 2015


Il concetto di “violenza di genere” viene troppo spesso tradotto erroneamente dai mass media come “violenza esclusiva dell’uomo sulla donna”, come se l’uomo fosse destinato a ricoprire sempre e solo il ruolo di carnefice e la donna quello di vittima. Invece è possibile affermare che esiste anche una violenza della donna sull’uomo che si manifesta con caratteristiche e tipologie considerate tipicamente maschili. Nella società in cui viviamo appare impensabile che l’uomo possa essere vittima di violenza da parte di una donna, tanto che non solo non viene denunciata, ma il più delle volte gli stessi uomini faticano a riconoscersi nel ruolo di vittima. Ci sono voluti anni di appoggio e supporto per incoraggiare le donne a denunciare la violenza domestica invece per incoraggiare gli uomini non è stato fatto nulla. È opportuno investire in ricerche senza schematismi, essere coscienti dei mutamenti della società, dei ruoli che si uniscono e si ridefiniscono.

mercoledì 25 marzo 2015

VI PREGO DI LEGGERE PER INTERO QUESTA INTERVISTA
Intervista con Barbara Rossi, psicologa, psicoterapeuta
Marco Deriu, Ricercatore e docente di Sociologia della cultura presso l’Università di
Parma, fa parte dell’Associazione nazionale Maschile Plurale e del Circolo della
differenza di Parma.
Dott. Deriu, cosa ne pensa della violenza tra i sessi?
In primo luogo credo sia fondamentale distinguere l’idea di violenza da quella di conflitto. Ritengo che un conflitto tra i sessi ci sia sempre stato e che in una certa misura sia ineludibile. Il conflitto attiene al confronto tra differenti e di per sé non è negativo o distruttivo. Al contrario il conflitto se accettato e affrontato con modalità non violente può essere terreno di riconoscimento di sé e dell’altro, di cambiamento e maturazione, di costruzione di legami più forti. Dunque per chiarirci “violenza tra i sessi” non è sinonimo di “conflitto tra i sessi”. A mio avviso la violenza tra i sessi è semmai la conseguenza del rifiuto di un reale conflitto.Ovvero sia il tentativo di seppellire la dimensione interrogante e dinamica del conflitto in una forma di dominio unilaterale e statico.
La questione della violenza tra i sessi ha radici profonde nella nostra storia e nella nostra cultura, per questo è difficile parlarne senza sottovalutare il problema o renderlo una faccenda superficiale. Penso sia sensato distinguere tra diverse forme diviolenze. Esistono molti tipi di violenze: sessuali, fisiche, psicologiche, materiali, simboliche e strutturali. Le violenze sono commesse sia da uomini che da donne. Ma tutti i dati a nostra disposizione sottolineano che gli autori delle violenze sono nella maggioranza dei casi uomini. Alcune forme di violenza, in particolare e mi riferisco alle violenze sessuali, alle molestie, alle violenze fisiche sono storicamente violenze commesse dagli uomini ai danni delle donne. Qui c’è evidentemente un dato culturale molto forte e profondo che interroga la cultura maschile, i suoi modelli e i suoi valori.
Anche le donne ovviamente possono usare la violenza, anche nelle sue forme tradizionali come botte, maltrattamenti o omicidi. Ma la violenza femminile il più delle volte si esprime attraverso altre modalità, più “relazionali”, più psicologiche e anche più sottili. In generale la cultura in cui siamo immersi “suggerisce” forme di comportamento diverso agli uomini e alle donne, anche di comportamento violento. Le violenze in questo senso non sono solo espressioni di scelte e inclinazioni individuali ma anche di modelli predefiniti di espressione e comportamento.
Da questo punto di vista ci tengo a dire che non c’è nessuna equivalenza possibile tra la violenza maschile verso le donne e quella femminile contro gli uomini. Certo è interessante e anche importante approfondire il tema della violenza femminile verso gli uomini, come cerchiamo di fare in questa occasione, sia per illuminare forme di violenza di cui si parla meno sia per chiarire meglio alcune connessioni, ma è bene non scordare che la violenza maschile verso le donne ha una dimensione culturale e strutturale molto forte e radicata. Ancora oggi le donne sono soggette a violenze, soprusi, discriminazioni a livello sessuale, economico, politico, nella famiglia, nel lavoro, nello spazio pubblico.
I n che senso possiamo parlare della violenza agli uomini?
Da un punto di vista generale le donne possono esprimere forme di violenza differenti.
Ma come dicevo prima, le forme di comportamento violento sono soggette a loro volta ad una standardizzazione culturale, a seconda dei diversi generi. Credo che nella maggior parte dei casi le violenze contro gli uomini avvengano su un piano relazionale e psicologico più che fisico o materiale. Il terreno in cui possono avvenire più facilmente è quello dei rapporti tra madre e figli o dei rapporti di coppia. Nel primo caso possono essere forme di violenza legate ad un atteggiamento soffocante in cui la madre impone la propria centralità o il proprio volere sul figlio minando la sua autonomia, la sua autostima, la sua integrità.
Nel rapporto di coppia la violenza può essere legata ad un tentativo di svalutare o di umiliare il proprio compagno per tenerlo in qualche modo sotto controllo o in una posizione di scacco. Nel contesto famigliare le forme della violenza sugli uomini possono passare anche attraverso delle dinamiche triangolari, per esempio quando si cerca di instaurare nei figli un’immagine molto negativa dei padri, quando si cerca di utilizzarli contro i padri, o quando in caso di conflitti o separazioni si cerca di minare il legame affettivo tra padre e figli rendendo difficile o addirittura impossibile ai padri di vedere o frequentare i bambini.
Data la centralità e l’importanza delle donne nella vita affettiva e psicologica degli uomini, spesso la violenza può assumere le forme del ricatto affettivo, sia nel rapporto tra madre e figli che nel rapporto tra partner. In altri casi si cerca di instaurare un senso di colpa radicale e incolmabile o di proiettare tutta dell’”ombra” e del negativo, sulla figura maschile. Va detto invece che esistono forme di crudeltà e di sadismo anche femminili anche se sono meno invisibili. Ci sono donne che infieriscono sugli uomini con grande freddezza e anche donne capaci di inscenare storie, situazioni o racconti agghiaccianti pur di suscitare grandi sensi di colpa o di distruggere l’immagine di una persona verso cui si prova un sentimento negativo. Andrebbero indagate anche quelle forme di violenza che agiscono dietro o comunque mescolate insieme a forme di dolore femminile. Spesso la violenza o il dolore non si dividono in due campi contrapposti in maniera netta. Una donna che soffre, e addirittura che si ammala per il proprio malessere – penso a situazioni patologie tipicamente femminili come quelle dell’isteria o dell’anoressia – può anche agire contemporaneamente attacchi molto violenti. Chi soffre non è obbligatoriamente soltanto una vittima. Per certi aspetti può essere una vittima, perchè ha subito dei torti o delle violenze, ma per altri può essere un aguzzino. Bisogna riconoscere e comprendere questa complessità negli esseri umani.
Se devo rischiare una generalizzazione, consapevole di tutti i rischi del caso, penso che nel caso delle donne ci troviamo spesso di fronte a forme di violenza più sottili, indirette o nascoste; forme meno brutali e anche meno evidenti rispetto a quelle maschili. Tuttavia queste modalità possono essere estremamente potenti, profonde e anche devastanti o distruttive soprattutto se praticate sistematicamente. Per loro natura questo tipo di violenza “non fa notizia”, non arriva ai giornali. Esempi di queste forme si possono invece ritrovare facilmente nell’immaginario collettivo, letterario o cinematografico.
Naturalmente ci sono anche donne che commettono atti di violenza più tradizionali, violenza fisiche, botte, omicidi ma percentualmente questo avviene in misura molto minore rispetto agli uomini. Basta pensare alla grande asimmetria nella popolazione carceraria composta, non solo nel nostro paese ma in tutto il mondo, nella stragrande maggioranza da uomini.
Infine dobbiamo aggiungere a questo elenco il ruolo che le donne stanno assumendo nelle guerre contemporanee: non più solo vittime, come verrebbe lo stereotipo, ma anche soldatesse, attentatrici terroriste, istigatrici del genocidio come è avvenuto in Rwanda, o torturatrici nel carcere di Abu Ghraib, dove la soldatessa americana Lynndie England si divertiva a farsi fotografare mentre teneva un soldato iracheno, un maschio, al guinzaglio. Si tratta di episodi che hanno avuto un forte impatto sul nostro immaginario, contribuendo a minare l’immagine di una donna o di un femminile tutto luminoso, incapace di violenza o rinchiudibile nell’immagine stereotipata della vittima.
Qualcuno ha commentato che forse i sessi da civilizzare sono due.
I n che modo gli uomini subiscono questa violenza?
Si tratta credo di una forma di violenza che si insinua nelle relazioni quotidiane. Che agisce nei legami più stretti e che si mescola con situazioni affettive e con vincoli profondi. Gli uomini talvolta la subiscono perché fanno fatica a riconoscerne il disegno e a capirne le modalità e la logica. Bisogna avere profondi strumenti psicologici e relazionali per riconoscerla in azione e per bloccarla, o quando non è possibile, per sottrarvisi.
Gli uomini denunciano? Come reagiscono rispetto alle donne?
Proprio perché si mescola alle relazioni affettive spesso questa violenza non è riconosciuta in quanto tale dunque spesso non viene denunciata. In altri casi gli uomini non denunciano perché si vergognano. Per un uomo apparire pubblicamente sottomesso alla donna può essere ancora più intollerabile che esserlo poi effettivamente.
Altre forme di violenza sono invece un terreno di conflitto molto forte. Penso alla violazione dei diritti dei padri e dei figli in casi di separazione. Si tratta di una delle situazioni in cui le violenze si ripetono più spesso. E negli ultimi decenni gli uomini hanno iniziato a denunciare questi casi e anche a organizzarsi per difendere i propri diritti.
Pensiamo ad una situazione come la separazione coniugale. Spesso si parla delle ritorsioni che fa l’uomo nell’usare sotterfugi e non pagare alimenti alla ex moglie per i figli; oggi si assiste maggiormente anche alla segnalazione degli uomini che vengono “ derubati” dei figli e non si sentono tutelati dalla legge. Cosa potrebbe fare un padre per tutelare la sua paternità, il diritto del bambino ad un padre, la loro relazione?
Si, quello che descrive è uno degli ambiti delle relazioni tra i sessi in cui si esplica più facilmente una violenza contro gli uomini. Questo non vuol dire che le stesse situazioni non siano terreno anche di violenza contro le donne. Sappiamo bene che i casi di violenza contro ex compagne o ex mogli sono molto diffusi e occupano le pagine della cronaca nera. Allo stesso tempo, tuttavia, questo è uno dei pochi ambiti in cui una visione tradizionalista e stereotipata dei ruoli sessuali consegna generalmente una posizione di vantaggio alle madri e consente loro di approfittarne anche oltre il lecito e soprattutto oltre ogni senso di civiltà. I casi di soprusi e violenze verso i padri sono più diffusi di quello che culturalmente siamo disposti a riconoscere.
Ritiene che questo tipo di violenza abbia conseguenze a livello sociale?
Ovviamente si. Credo che il rischio più grande sia quello di generalizzare o di proiettare il vissuto di violenza sull’immagine generale dell’altro sesso, delle donne o degli uomini. Se come ho cercato di spiegare la violenza nasce dal disconoscimento della differenza certamente non è un passo avanti proiettare su un intero sesso la colpa del male e del dolore che si è patito.
Da un punto di vista psicologico e soprattutto esistenziale costa molto lavoro non generalizzare, non proiettare concentrarsi sulla propria storia personale, sulla propria vicenda e rielaborarla in quanto tale, riconoscendo responsabilità specifiche, individuali e relazionali, senza con questo distruggere l’immagine interiore dell’altro sesso dentro di sé.
A questo proposito dobbiamo impegnarci tutti nella promozione di una cultura delle differenze. Dobbiamo aiutarci – uomini e donne a reinventare una civiltà delle relazioni basata sul riconoscimento della propria parzialità e sull’accettazionedell’alterità. Dobbiamo imparare a costruire relazioni basate sulla libertà, con la fiducia che le differenze siano un’occasione e non una minaccia.
I n che modo genitori, educatori, insegnanti, psicologi, potrebbero aiutare le nuove generazioni a ridurre la violenza per incontrarsi in modo più sereno? È pensabile che si possa ridurre la violenza?
Il terreno educativo è fondamentale soprattutto se si comincia a lavorare con i bambini educandoli fin dalla più tenera età ad un rapporto positivo e riconoscente verso entrambi i sessi.
Ma non si può neanche proiettare tutto sulle future generazioni. In questo campo delle relazioni tra i sessi occorre un’educazione anche degli adulti, forse soprattutto degli adulti, perché sono quelli che devono più liberarsi da stereotipi e armature culturali. È un lavoro culturale che non si fa solo nelle scuole, ma in tutti gli spazi relazionali e sociali: dalla famiglia al lavoro, dall’amicizia alla sessualità, dalla politica allo sport.
È una sfida in cui tutti – nessuno escluso – dobbiamo sentirci al contempo insegnanti ed allievi, con umiltà ma anche senso civile. Dobbiamo costruire una nuova civiltà delle relazioni tra i sessi. —
MEMORIAL DAY, ROMA 7 APRILE 2015 dedicato ai padri che si sono suicidati dopo la separazione per la mancanza dei figli
Martedì 7 aprile alle ore 16.00
A LARGO GIOVANNI XXIII ( TRA SAN PIETRO E CASTEL SANT'ANGELO .
Nella foto Dario Fo, premio Nobel, nel Memorial Day del 2006 a Milano.
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WIKIPEDIA
Antonio Sonatore (Aosta, 17 novembre 1947 – Aosta, 7 aprile 1996) è stato un docente italiano.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]
Fu un maestro di asilo, padre di una bambina affidata dal tribunale all'ex moglie al momento della separazione nel 1989. Pochi mesi dopo patteggiò 11 mesi di reclusione per violenza carnale nei confronti della donna. Anche dopo quella condanna, l'ex-moglie denunciò maltrattamenti e soprusi. Nell'agosto 1991 Sonatore fuggì in Francia con la figlia, dove però venne arrestato, detenuto per alcuni mesi e condannato a 13 mesi di reclusione.
È divenuto simbolo di un movimento di genitori separati, principalmente padri che si oppongono alla loro espulsione nelle cause di affidamento dei figli, indipendentemente dal fatto che essi siano stati condannati per maltrattamenti o abusi. La prassi dei tribunali, che espelle il padre dalla vita dei figli, è, a suo dire, una grave discriminazione nei confronti degli uomini, che non lede soltanto il diritto del padre, ma soprattutto i diritti dei figli che vedono violate relazioni primarie fondamentali per la loro vita.[senza fonte]
Il 7 aprile del 1996 Sonatore si diede fuoco dopo essersi cosparso di benzina: morì il 9 aprile a 49 anni. Il suicidio avvenne davanti al Palazzo di Giustizia di Aosta, per protesta contro una sentenza che da tempo gli impediva di vedere la figlia, dopo la separazione con l’ex moglie. Venerdì 7 aprile del 2006 si è tenuto in Piazza della Scala a Milano il primo presidio in ricordo della morte di Antonio Sonatore[s

sabato 14 marzo 2015

PENSIERO DELLA SERA.......E NON SOLO
Esiste una stanchezza dell'intelligenza astratta ed è la più terribile delle stanchezze. Non è pesante come la stanchezza del corpo, e non è inquieta come la stanchezza dell'emozione. È un peso della consapevolezza del mondo, una impossibilità di respirare con l'anima.
FERDINANDO PESSOA

martedì 17 febbraio 2015

Ci sono viaggi che si fanno con un unico bagaglio: il cuore. (Audrey Hepburn)

domenica 15 febbraio 2015

"Volevo ricordarti che l'amore è rimanere e non sparire per vedere se uno, poi, ci tiene".
-Charles Bukowski.

giovedì 12 febbraio 2015

“ Nel bel mezzo dell'inverno, ho infine imparato che vi era in me un'invincibile estate ..♡ kk ヅ Albert Camus
“I venti del destino soffiano quando meno ce l'aspettiamo. A volte hanno la furia di un uragano, a volte sono lievi come brezze. Ma non si possono negare, perché spesso portano un futuro impossibile da ignorare. Sei il vento che non mi aspettavo, il vento che ha soffiato più forte di quanto potessi immaginare '★ .. ♡ kk ヅ
KEVIN COSTNER - Garret - Le parole che non ti ho detto

venerdì 6 febbraio 2015

"C'è un tempo giusto per andarsene dalla vita di una persona anche quando non si ha un posto dove andare."