lunedì 24 marzo 2014



"Pensieri d'amore dimenticati risorgono e mi portano di nuovo alla vita..."
da "Un uomo" di Oriana Fallaci
(ho letto tanti anni fa questo capolavoro..indimenticabile)

martedì 11 marzo 2014

"Qualsiasi tipo di violenza non va sottovalutata. Si parla tanto di violenza alle donne, ma della violenza psicologica e fisica agli uomini perpetrata da alcune donne non se ne parla mai. Il problema della violenza sugli uomini e' ampiamente sottovalutato, sia perché alle donne non fa comodo che si sappia, sia perché l'uomo obbedendo ad un ancestrale e superato dogma che lo vuole FORTE, tace subendo violenze di una gravità inaudita da un punto di vista psicologico, con offese, maltrattamenti, derisioni, calunnie e violenze verbali di ogni tipo che sono devastanti per la psiche. Per non parlare delle violenze fisiche che sono anch'esse sottovalutate come fenomeno e come entità. Infine la violenza con la connivenza della legge che si opera su quei padri cacciati dalla casa di cui pagano il mutuo (non per tradimento ma per stufamento della donna), costretti a pagare un affitto e continuare a pagare la casa dove vive la moglie, privandosi della vista dei figli e scoprendo poi che 10 giorni dopo a casa c'è l'amante della moglie con i propri figli. Nessuno tutela l'uomo da questi soprusi e sempre più una nutrita schiera di donne affetta da odio congenito verso l'essere maschile sfrutta la propria rabbia innata per nascondere sotto il tappeto la loro violenza sugli uomini sperando che leggi e uomini si concentrino solo su quella perpetrata nei loro confronti di cui siamo ben consci e che tutti condanniamo ovviamente. Di uomini vittime di soprusi ne conosco a migliaia È ora di unirsi e dire basta. Ricordatevi che il codice penale prevede il reato di calunnia, stalking, lesione d'immagine, bullismo (anche al femminile..come oramai capita nella stragrande maggioranza), sevizia fisica e psicologica."
VI PREGO DI LEGGERE QUESTA INTERVISTA

Intervista con Barbara Rossi, psicologa, psicoterapeuta
Marco Deriu, Ricercatore e docente di Sociologia della cultura presso l’Università di
Parma, fa parte dell’Associazione nazionale Maschile Plurale e del Circolo della
differenza di Parma.
Dott. Deriu, cosa ne pensa della violenza tra i sessi?
In primo luogo credo sia fondamentale distinguere l’idea di violenza da quella di
conflitto. Ritengo che un conflitto tra i sessi ci sia sempre stato e che in una certa
misura sia ineludibile. Il conflitto attiene al confronto tra differenti e di per sé non è
negativo o distruttivo. Al contrario il conflitto se accettato e affrontato con modalità
nonviolente può essere terreno di riconoscimento di sé e dell’altro, di cambiamento e
maturazione, di costruzione di legami più forti. Dunque per chiarirci “violenza tra i
sessi” non è sinonimo di “conflitto tra i sessi”. A mio avviso la violenza tra i sessi è
semmai la conseguenza del rifiuto di un reale conflitto. Ovvero sia il tentativo di
seppellire la dimensione interrogante e dinamica del conflitto in una forma di dominio
unilaterale e statico.
La questione della violenza tra i sessi ha radici profonde nella nostra storia e nella
nostra cultura, per questo è difficile parlarne senza sottovalutare il problema o
renderlo una faccenda superficiale. Penso sia sensato distinguere tra diverse forme di
violenze. Esistono molti tipi di violenze: sessuali, fisiche, psicologiche, materiali,
simboliche e strutturali. Le violenze sono commesse sia da uomini che da donne. Ma
tutti i dati a nostra disposizione sottolineano che gli autori delle violenze sono nella
maggioranza dei casi uomini. Alcune forme di violenza, in particolare e
mi riferisco
alle violenze sessuali, alle molestie, alle violenze fisiche sono
storicamente violenze
commesse dagli uomini ai danni delle donne. Qui c’è evidentemente un dato culturale
molto forte e profondo che interroga la cultura maschile, i suoi modelli e i suoi valori.
Anche le donne ovviamente possono usare la violenza, anche nelle sue forme
tradizionali come botte, maltrattamenti o omicidi. Ma la violenza femminile il più delle
volte si esprime attraverso altre modalità, più “relazionali”, più psicologiche e anche
più sottili. In generale la cultura in cui siamo immersi “suggerisce” forme di
comportamento diverso agli uomini e alle donne, anche di comportamento violento. Le
violenze in questo senso non sono solo espressioni di scelte e inclinazioni individuali
ma anche di modelli predefiniti di espressione e comportamento.
Da questo punto di vista ci tengo a dire che non c’è nessuna equivalenza possibile
tra la violenza maschile verso le donne e quella femminile contro gli uomini. Certo è
interessante e anche importante approfondire il tema della violenza femminile verso
gli uomini, come cerchiamo di fare in questa occasione, sia per illuminare forme di
violenza di cui si parla meno sia per chiarire meglio alcune connessioni, ma è bene
non scordare che la violenza maschile verso le donne ha una dimensione culturale e
strutturale molto forte e radicata. Ancora oggi le donne sono soggette a violenze,
soprusi, discriminazioni a livello sessuale, economico, politico, nella famiglia, nel
lavoro, nello spazio pubblico.
I n che senso possiamo parlare della violenza agli uomini?
Da un punto di vista generale le donne possono esprimere forme di violenza differenti.
Ma come dicevo prima, le forme di comportamento violento sono soggette a loro volta
ad una standardizzazione culturale, a seconda dei diversi generi. Credo che nella
maggior parte dei casi le violenze contro gli uomini avvengano su un piano relazionale
e psicologico più che fisico o materiale. Il terreno in cui possono avvenire più
facilmente è quello dei rapporti tra madre e figli o dei rapporti di coppia. Nel primo
caso possono essere forme di violenza legate ad un atteggiamento soffocante in cui la
madre impone la propria centralità o il proprio volere sul figlio minando la sua
autonomia, la sua autostima, la sua integrità.
Nel rapporto di coppia la violenza può essere legata ad un tentativo di svalutare o
di umiliare il proprio compagno per tenerlo in qualche modo sotto controllo o in una
posizione di scacco. Nel contesto famigliare le forme della violenza sugli uomini
possono passare anche attraverso delle dinamiche triangolari, per esempio quando si
cerca di instaurare nei figli un’immagine molto negativa dei padri, quando si cerca di
utilizzarli contro i padri, o quando in caso di conflitti o separazioni si cerca di minare il
legame affettivo tra padre e figli rendendo difficile o addirittura impossibile ai padri di
vedere o frequentare i bambini.
Data la centralità e l’importanza delle donne nella vita affettiva e psicologica degli
uomini, spesso la violenza può assumere le forme del ricatto affettivo, sia nel rapporto
tra madre e figli che nel rapporto tra partner. In altri casi si cerca di instaurare un
senso di colpa radicale e incolmabile o di proiettare tutta dell’”ombra” e del negativo,
sulla figura maschile. Va detto invece che esistono forme di crudeltà e di sadismo
anche femminili anche se sono meno invisibili. Ci sono donne che infieriscono sugli
uomini con grande freddezza e anche donne capaci di inscenare storie, situazioni o
racconti agghiaccianti pur di suscitare grandi sensi di colpa o di distruggere
l’immagine di una persona verso cui si prova un sentimento negativo. Andrebbero
indagate anche quelle forme di violenza che agiscono dietro o comunque mescolate
insieme a forme di dolore femminile. Spesso la violenza o il dolore non si dividono in
due campi contrapposti in maniera netta. Una donna che soffre, e addirittura che si
ammala per il proprio malessere – penso a situazioni patologie tipicamente femminili
come quelle dell’isteria o dell’anoressia – può anche agire contemporaneamente
attacchi molto violenti. Chi soffre non è obbligatoriamente soltanto una vittima. Per
certi aspetti può essere una vittima, perchè ha subito dei torti o delle violenze, ma per
altri può essere un aguzzino. Bisogna riconoscere e comprendere questa complessità
negli esseri umani.
Se devo rischiare una generalizzazione, consapevole di tutti i rischi del caso, penso
che nel caso delle donne ci troviamo spesso di fronte a forme di violenza più sottili,
indirette o nascoste; forme meno brutali e anche meno evidenti rispetto a quelle
maschili. Tuttavia queste modalità possono essere estremamente potenti, profonde e
anche devastanti o distruttive soprattutto se praticate sistematicamente. Per loro
natura questo tipo di violenza “non fa notizia”, non arriva ai giornali. Esempi di queste
forme si possono invece ritrovare facilmente nell’immaginario collettivo, letterario o
cinematografico.
Naturalmente ci sono anche donne che commettono atti di violenza più tradizionali,
violenza fisiche, botte, omicidi ma percentualmente questo avviene in misura molto
minore rispetto agli uomini. Basta pensare alla grande asimmetria nella popolazione
carceraria composta, non solo nel nostro paese ma in tutto il mondo, nella stragrande
maggioranza da uomini.
Infine dobbiamo aggiungere a questo elenco il ruolo che le donne stanno
assumendo nelle guerre contemporanee: non più solo vittime, come verrebbe lo
stereotipo, ma anche soldatesse, attentatrici terroriste, istigatrici del genocidio come è
avvenuto in Rwanda, o torturatrici nel carcere di Abu Ghraib, dove la soldatessa
americana Lynndie England si divertiva a farsi fotografare mentre teneva un soldato
iracheno, un maschio, al guinzaglio. Si tratta di episodi che hanno avuto un forte
impatto sul nostro immaginario, contribuendo a minare l’immagine di una donna o di
un femminile tutto luminoso, incapace di violenza o rinchiudibile nell’immagine
stereotipata della vittima.
Qualcuno ha commentato che forse i sessi da civilizzare sono due.
I n che modo gli uomini subiscono questa violenza?
Si tratta credo di una forma di violenza che si insinua nelle relazioni quotidiane. Che
agisce nei legami più stretti e che si mescola con situazioni affettive e con vincoli
profondi. Gli uomini talvolta la subiscono perché fanno fatica a riconoscerne il disegno
e a capirne le modalità e la logica. Bisogna avere profondi strumenti psicologici e
relazionali per riconoscerla in azione e per bloccarla, o quando non è possibile, per
sottrarvisi.
Gli uomini denunciano? Come reagiscono rispetto alle donne?
Proprio perché si mescola alle relazioni affettive spesso questa violenza non è
riconosciuta in quanto tale dunque spesso non viene denunciata. In altri casi gli
uomini non denunciano perché si vergognano. Per un uomo apparire pubblicamente
sottomesso alla donna può essere ancora più intollerabile che esserlo poi
effettivamente.
Altre forme di violenza sono invece un terreno di conflitto molto forte. Penso alla
violazione dei diritti dei padri e dei figli in casi di separazione. Si tratta di una delle
situazioni in cui le violenze si ripetono più spesso. E negli ultimi decenni gli uomini
hanno iniziato a denunciare questi casi e anche a organizzarsi per difendere i propri
diritti.
P ensiamo ad una situazione come la separazione coniugale. Spesso si parla
delle ritorsioni che fa l’uomo nell’usare sotterfugi e non pagare alimenti alla
ex moglie per i figli; oggi si assiste maggiormente anche alla segnalazione
degli uomini che vengono “ derubati” dei figli e non si sentono tutelati dalla
legge. Cosa potrebbe fare un padre per tutelare la sua paternità, il diritto del
bambino ad un padre, la loro relazione?
Si, quello che descrive è uno degli ambiti delle relazioni tra i sessi in cui si esplica
più facilmente una violenza contro gli uomini. Questo non vuol dire che le stesse
situazioni non siano terreno anche di violenza contro le donne. Sappiamo bene che i
casi di violenza contro ex compagne o ex mogli sono molto diffusi e occupano le
pagine della cronaca nera. Allo stesso tempo, tuttavia, questo è uno dei pochi ambiti
in cui una visione tradizionalista e stereotipata dei ruoli sessuali consegna
generalmente una posizione di vantaggio alle madri e consente loro di approfittarne
anche oltre il lecito e soprattutto oltre ogni senso di civiltà. I casi di soprusi e violenze
verso i padri sono più diffusi di quello che culturalmente siamo disposti a riconoscere.
Ritiene che questo tipo di violenza abbia conseguenze a livello sociale?
Ovviamente si. Credo che il rischio più grande sia quello di generalizzare o di
proiettare il vissuto di violenza sull’immagine generale dell’altro sesso, delle donne o
degli uomini. Se come ho cercato di spiegare la violenza nasce dal disconoscimento
della differenza certamente non è un passo avanti proiettare su un intero sesso la
colpa del male e del dolore che si è patito.
Da un punto di vista psicologico e soprattutto esistenziale costa molto lavoro non
generalizzare, non proiettare concentrarsi sulla propria storia personale, sulla propria
vicenda e rielaborarla in quanto tale, riconoscendo responsabilità specifiche,
individuali e relazionali, senza con questo distruggere l’immagine interiore dell’altro
sesso dentro di sé.
A questo proposito dobbiamo impegnarci tutti nella promozione di una cultura delle
differenze. Dobbiamo aiutarci – uomini e donne a
reinventare una civiltà delle
relazioni basata sul riconoscimento della propria parzialità e sull’accettazione
dell’alterità. Dobbiamo imparare a costruire relazioni basate sulla libertà, con la fiducia
che le differenze siano un’occasione e non una minaccia.
I n che modo genitori, educatori, insegnanti, psicologi, potrebbero aiutare le
nuove generazioni a ridurre la violenza per incontrarsi in modo più sereno? È
pensabile che si possa ridurre la violenza?
Il terreno educativo è fondamentale soprattutto se si comincia a lavorare con i
bambini educandoli fin dalla più tenera età ad un rapporto positivo e riconoscente
verso entrambi i sessi.
Ma non si può neanche proiettare tutto sulle future generazioni. In questo campo
delle relazioni tra i sessi occorre un’educazione anche degli adulti, forse soprattutto
degli adulti, perché sono quelli che devono più liberarsi da stereotipi e armature
culturali. È un lavoro culturale che non si fa solo nelle scuole, ma in tutti gli spazi
relazionali e sociali: dalla famiglia al lavoro, dall’amicizia alla sessualità, dalla politica
allo sport.
È una sfida in cui tutti – nessuno escluso – dobbiamo sentirci al contempo
insegnanti ed allievi, con umiltà ma anche senso civile. Dobbiamo costruire una nuova
A volte non sono le persone che cambiano, ma è la maschera che cade.
Aspettare è ancora un’occupazione.
È non aspettar niente che è terribile.
[Cesare Pavese]


Un'arte difficile: saper pensare ed essere spensierati.
A volte vorrei non capire cose che in realtà capisco benissimo...

giovedì 6 marzo 2014

E’ morto Manlio Sgalambro,  grande saggista e grande filosofo, autore di molti testi di Franco Battiato, .