mercoledì 25 settembre 2013

Hey you, don't tell me there's no hope at all
Together we stand, divided we fall.


Ma...dammi la mano e torna vicino
Può nascere un fiore nel nostro giardino
Che neanche l'inverno potrà mai gelare
Può crescere un fiore da questo mio amore per te...
"Ora io voglio che tu parta, che dimentichi, che stia al sicuro in qualche parte del mondo. Non ti chiedo l’indirizzo per scriverti, non ti lascio il mio.
Noi ci fermiamo qui, non ci vedremo più. Io devo finire la mia estate, quella che mi ha cambiato i connotati. [..] Riesco a vedere la mia vita da un’altura proprio oggi che ti perdo e lo scirocco non fa vedere neanche l’isola di fronte. Mi vedo in un laggiù, in una folla che non sarà in festa. Mi vedo laggiù da sola. Si formano parole di rivolta che accecano più di questo vento."
CATANIA

martedì 24 settembre 2013

E anche Telecom diventa spagnola. Mentre l'Alitalia sta per diventare francese e dopo che la Ducati è diventata tedesca (insieme alla Lamborghini). Ci comprano, giustamente, pezzo dopo pezzo. Perché non liberarsi anche di questa classe politica, l'unico pezzo di cui forse faremmo volentieri a meno?

( Un paese in liquidazione o in liquefazione?? )

Non solo Telecom. Italia vendesi.
Un Paese ai saldi di fine stagione

Telecom Italia, Alitalia, il lusso e l'alimentare. Un Paese oberato dai debiti che non riesce a sostenere le proprie imprese. E nell'assenza di una politica industriale, l'Italia diventa terra di conquista per pochi spiccioli

di WALTER GALBIATI MILANO - Con un pugno di soldi, circa 350 milioni di euro, Telefonica conquista Telecom Italia, il colosso italiano delle tlc, che fattura 30 miliardi di euro, dà lavoro a 82mila dipendenti, possiede la rete nazionale delle telecomunicazioni e gestisce i dati sensibili delle procure di tutto il Paese, le intercettazioni.

Le banche di sistema, Intesa e Mediobanca con la controllata Generali (tutte azioniste di controllo di Telecom), hanno deciso in assenza della politica che il Paese può farne a meno. Del resto tutta la telefonia non parla più italiano. E senza colpo ferire la società, inabissata dai debiti come del resto l’Italia stessa, è pronta a finire nelle mani di chi dovrebbe rilanciarla. Chissà dove.

Lo stesso destino toccherà tra poco ad Alitalia. La compagnia di bandiera, sempre oberata dai debiti, volerà in Francia, qualora i soci coraggiosi (da Colaninno a Tronchetti Provera, dai Ligresti a Marcegaglia, dai Benetton ai Toto) lanciatasi in uno pseudo-salvataggio pilotato da Banca Intesa, non decidano di sostituirsi ai francesi nella gestione del gruppo in perenne crisi di liquidità. Saranno comunque ancora loro, dopo che la politica se n’è lavata le mani ben cinque anni fa, a decidere che l’Italia potrà fare a meno anche di un vettore nazionale in grado di collegare un territorio impervio come quello della Penisola e delle sue isole.

Resiste, invece, in mani italiane la società Autostrade, l’arteria viaria del Paese, che lo Stato ha affidato alla famiglia Benetton. I veneti hanno cercato di disfarsene, quando anche loro schiacciati da una acquisizione fatta a debito e con il pericolo del blocco delle tariffe, avevano intavolato le trattative per la cessione. Manco a dirlo, da Roma sono rispuntati gli  aumenti tariffari e la società è rimasta italiana.

Diversa sorte, invece, è toccata ad altre due grandi privatizzazioni italiane, Eni ed Enel, le cui reti, nevralgiche per il Paese, sono rimaste sotto il cappello dello Stato, nonostante la quota di controllo sia stata ridotta all’osso.

Con il passaggio all’estero di molti colossi del lusso  e dell’alimentare, se ne va non solo parte del Prodotto interno lordo, ma anche di quella forza economica che dovrebbe far ripartire il Paese. Le stesse aziende, diventate multinazionali, decideranno autonomamente dove pagare o non pagare le tasse. I casi delle grandi società di Internet, da Google a Facebook, da Apple ad Amazon, ma anche di gruppi come Starbucks e Fiat puntano da sempre a una eufemistica “ottimizzazione fiscale”.

Il pericolo è poi che con un debito che arriverà a oltre il 130% del Prodotto interno lordo, lo Stato non decida di cedere altri gangli nevralgici del Paese. Finmeccanica, il gruppo che gestisce tutti gli appalti delle nostre forze armate, e le sue controllate sono già in vendita. Dopo di che restano i tesori artistici, come Pompei e il Colosseo, per i quali la Disney farebbe tappeti d’oro.

Telecom, il controllo passa a Telefonica
Via all'aumento di capitale di Telco

Gli spagnoli pronti a salire al 70% della holding che detiene il 22,4% dell'ex monopolista delle tlc: i diritti di voto però restano al 46,2%. I proventi dell'operazione da 324 milioni di euro a 1,09 euro ad azione serviranno a rimborsare i debiti in scadenza della controllante. Tra carta e cash, l'operazione vale 850 milioni

MILANO - Generali, Intesa e Mediobanca comunicano che hanno concluso con Telefonica un "accordo modificativo" del patto parasociale relativo a Telco, la holding che controlla il 22,4% di Telecom Italia e della quale gli spagnoli avevano già il 46%. Dopo una lunga notte di trattative l'annuncio è arrivato attraverso una nota nella quale si legge che in una prima fase Telefonica sottoscriverà un aumento di capitale per complessivi 324 milioni di euro a 1,09 euro per azione: in cambio verranno emesse azioni di classe C prive del diritto di voto, convertibili in azioni con diritto di voto a determinate condizioni. L'agenzia di rating Moody's ha annunciato che non ci saranno impatti sulla valutazione del merito di credito da questa operazione.

L'operazione. L'obiettivo è quello di fornire a Telco le risorse per rimborsare una prima parte dell'indebitamento finanziario a scadenza il prossimo novembre, mentre i residui 700 milioni saranno interamente finanziati da Mediobanca e Intesa in parti uguali. A seguito dell'aumento, Telefonica avrà il 66% di Telco, di cui il 46,2% con diritto di voto, Generali il 19,32%, con diritto di voto per il 30,6%, e Intesa e Mediobanca il 7,34% entrambe, con diritto di voto pari all'11,6%. Contestualmente all'aumento, Telefonica acquisterà pro-quota una parte del prestito obbligazionario Telco fino al 70% del totale, in cambio di azioni proprie al valore di 10,86 euro ciascuna.

L'opzione. Telefonica, poi, dopo le autorizzazioni previste dalle Autorità, sottoscriverà un nuovo aumento di capitale di Telco per 117 milioni di euro, sempre senza diritto di voto, convertibile poi in azioni ordinarie con diritto di voto, fino a raggiungere il 70% di Telco. Gli spagnoli potranno salire al 100% della holding a partire dal prossimo anno: l'opzione, però è soggetta all'autorizzazione delle autorità di Brasile e Argentina. Il prezzo fissato per l'ultima tranche è sarà nella parte alta della forchetta compresa tra 1,1 euro e il valore di mercato previsto al momento dell'esercizio. In caso di esercizio dell'opzione di acquisto, Telefonica sarà obbligata ad acquistare a valore nominale anche tutte le quote residue del prestito obbligazionario Telco in mano ai soci italiani. Di fatto, Telefonica verserà 441 milioni cash per i due aumenti di capitali, ai quali si sommano 425 milioni di euro in azioni Telefonica (quelle che trasferirà ai soci italiani in cambio del prestito obbligazionario). Tra carta e contante, l'operazione vale 850 milioni circa.

Il Brasile. Il vero nodo dell'operazione, però, riguarda il Brasile: Tim Brasil, infatti, è stato finora l'asset più pregiato del gruppo italiano, l'unico a garantire potenzialità di crescita per il gruppo. Telefonica, però, possiede già Vivo, primo operatore carioca e l'antitrust sudamericana non vede di buon occhio la concetrazione del primo e secondo player del mercato. A questo punto è immaginabile uno spezzatino di Tim Brasil: difficile però che la cessione dell'asset più pregiato dell'ex monopolista possa essere massimizzato, anche perché i compratori si troveranno a trattare con un socio obbligato a cedere.

Paletti. La quota di Telefonica, però, non potrà salire oltre il 22,4% di Telcom. Gli accordi prevedono che gli spagnoli non acquistino direttamente altre azioni di Telecom Italia, a meno che "un soggetto terzo acquisti una partecipazione rilevante (del 10% o superiore)" nella compagnia italiana.

Governance. I soci italiani di Telco potranno indicare presidente e amministratore delegato di Telecom anche quando Telefonica controllerà la maggioranza della holding. L'accordo prevede che il numero degli amministratori Telecom non sia inferiore a 13 e che i soci italiani indichino i primi due nominativi della lista, quelli riservati a presidente e amministratore delegato.

Il commento spagnolo. L'accordo per il riassetto di Telco porta "stabilità nell'azionariato di Telecom e indipendenza del gruppo". Lo assicura Telefonica in una nota sottolineando che "continuerà ad astenersi dal partecipare o di influenzare le decisioni che incidono sui mercati in cui entrambe le società sono presenti". Telefonica inoltre "rinnova il suo impegno a contribuire allo sviluppo di Telecom Italia nel suo mercato interno, con le sinergie e la condivisione delle migliori pratiche. Allo stesso tempo, la rinnovata stabilità nell'azionariato della società italiana consentirà di esplorare le migliori opzioni strategiche per recuperare la sua flessibilità finanziaria". Rivolgendosi ai propri azionisti, la società iberica precisa che l'accordo "non modifica l'impegno di Telefonica con i mercati a ridurre l'indebitamento finanziario netto al di sotto di 47 miliardi entro la fine del 2013, in quanto la struttura dell'operazione prevede un impatto neutro sulla leva della società".
(24 settembre 2013) © Riproduzione riservata


sabato 7 settembre 2013

"E poi sorrideva, per farmi vedere come si fa, ed era il sorriso più triste che avessi mai visto."
— Charles Bukowski